protesta dei lavoratori

Sciopero rider: venerdì 26 marzo stop a consegne in 30 città, Milano compresa

Non verrà garantita la consegna del pranzo.

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Venerdì 26 marzo 2021 è stato indetto uno sciopero nazionale dei rider in 30 città italiane, Milano compresa.

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Lo sciopero dei rider milanesi (e non solo!)

"Siamo stanchi di lavorare per 3 euro a consegna a cottimo" hanno detto, e per questo gli addetti alle consegne delle piattaforme di food delivery si fermano. Per il momento pare abbiano aderito sia le metropoli più grandi che città più piccole, e naturalmente Milano non poteva mancare.

A seconda delle città i lavoratori si sono organizzati diversamente: a Milano le consegne del pranzo non verranno quindi garantite, mentre ad esempio a Bologna i rider si fermeranno per cena.

Lo sciopero è appoggiato anche dal sindacato confederale e per la prima volta è stato riconosciuto anche da Glovo, che ha infatti  mandato una comunicazione avvisando i propri ristoranti partner che ci saranno dei "disservizi".

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L'appello ai cittadini, la lettera aperta dei rider

I rider chiedono ai consumatori di appoggiare la protesta dei lavoratori e non fare ordini. I sindacati e Assodelivery hanno sottoscritto un protocollo quadro sperimentale: si tratta di un accordo per la legalità, contro il caporalato e lo sfruttamento del lavoro.

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‼️🚴🏻‍♂️ 𝗟𝗲𝘁𝘁𝗲𝗿𝗮 𝗮𝗽𝗲𝗿𝘁𝗮 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗲 𝗱𝗲𝗶 𝗿𝗶𝗱𝗲𝗿𝘀 𝗮 𝘁𝘂𝘁𝘁𝗲 𝗲 𝗮 𝘁𝘂𝘁𝘁𝗶 𝗶 𝗰𝗶𝘁𝘁𝗮𝗱𝗶𝗻𝗶

"𝘕𝘰𝘪 𝘳𝘪𝘥𝘦𝘳𝘴 𝘪𝘯 𝘴𝘤𝘪𝘰𝘱𝘦𝘳𝘰 𝘪𝘯 𝘵𝘶𝘵𝘵𝘢 𝘐𝘵𝘢𝘭𝘪𝘢. 𝘈𝘣𝘣𝘪𝘢𝘮𝘰 𝘣𝘪𝘴𝘰𝘨𝘯𝘰 𝘥𝘦𝘭 𝘷𝘰𝘴𝘵𝘳𝘰 𝘴𝘶𝘱𝘱𝘰𝘳𝘵𝘰, 𝘷𝘦𝘯𝘦𝘳𝘥𝘪̀ 26 𝘮𝘢𝘳𝘻𝘰 𝘯𝘰𝘯 𝘰𝘳𝘥𝘪𝘯𝘢𝘵𝘦!"
Siamo le e i riders che lavorano in ogni angolo del Paese, nelle grandi città come in provincia, dove si stanno diffondendo le consegne a domicilio tramite piattaforma. Da anni stiamo lottando affinché siano riconosciuti i nostri diritti.

Ci troviamo in una situazione paradossale, sempre più diffusa nel mondo del lavoro contemporaneo: siamo pedine nelle mani di un algoritmo, siamo considerati lavoratori autonomi; siamo inseriti in un’organizzazione del lavoro senza alcun potere ma non siamo considerati lavoratori dipendenti dai nostri datori di lavoro.
Anche se ormai è sotto gli occhi di tutti, il lavoro autonomo è solamente un espediente: consente a multinazionali feroci di non rispettare i contratti e di non riconoscerci tutele quali ferie, malattia, tredicesima, quattordicesima, tfr, salari certi in base ai minimi tabellari e non variabili in base al ricatto del cottimo.

In tutta Europa i tribunali stanno riconoscendo la verità: il nostro è un lavoro subordinato. Anche il tribunale del lavoro di Palermo, nel primo grado di giudizio, si è mosso in questa direzione. Un’altra sentenza della Corte di Cassazione ha riconosciuto che ci devono essere applicate le tutele del lavoro dipendente.
Il Tribunale di Milano ha fatto luce su casi palesi di caporalato dentro Uber Eats, che arrivavano a sorveglianza, non solo digitale ma persino fisica, con contorno di violenza e aggressioni nei confronti di riders resi ricattabili (reclutati anche nei centri di accoglienza) da indigenza ed estremo bisogno. Il Tribunale di Bologna ha riconosciuto che l'algoritmo è un dispositivo discriminatorio nei confronti dei lavoratori.
La procura di Milano ha recentemente ribadito che il tempo dello schiavismo deve finire e deve cominciare quello di un lavoro che riconosca tutti i diritti di cittadinanza; ha per questo comminato maxi-multe per centinaia di milioni di euro alle aziende, intimandogli di assumerci e riconoscerci tutele piene. In Spagna una nuova legge riconosce direttamente i riders come lavoratori subordinati; eco di simili discussioni arriva anche nei corridoi europei.
Cosa fanno, in questa situazione, le aziende nel nostro Paese? Se ne infischiano e cercano di farla franca mantenendo un modello di business che si regge esclusivamente su sfruttamento, cottimo e precarietà. Hanno sottoscritto un accordo pirata con un sindacato di comodo (UGL), sul cui profilo di dubbia legittimità si è espresso criticamente anche il Ministero del Lavoro: un contratto truffaldino per evadere la legge e confinarci in questa situazione di mancanza di garanzie.
Per questo venerdì 26 marzo, per l'intera giornata, scioperiamo in tutta Italia.

In questa pandemia ci hanno definito come lavoratori “essenziali”, in un contesto dove le piattaforme non ci fornivano nemmeno le mascherine e, per una simile ovvietà, siamo dovuti ricorrere in tribunale. Essenziali lo siamo stati per davvero, avendo sorretto sulle nostre spalle il settore della ristorazione colpito dalle chiusure dovute all'emergenza sanitaria. Ma gli “essenziali” non possono continuare ad essere anche gli “invisibili”.
Non chiediamo nemmeno la luna. Chiediamo di essere alla pari di tutti i lavoratori dipendenti del nostro paese. Salari, sicurezza, malattia, ferie, contributi, mensilità aggiuntive, tfr, contratto nazionale: per avere questo ci fermiamo da Milano a Bologna, da Napoli a Trieste, da Firenze a Carpi, da Genova a Messina, da Reggio Emilia a Brindisi, in più di venti città italiane.
Per ottenere il massimo risultato possibile abbiamo bisogno di tutto il supporto possibile. Noi ce la metteremo tutta, ma abbiamo bisogno anche di voi. Un gesto semplice – rifiutarsi per un giorno di fare click - può sostenere una causa che non è solo quella dei riders, ma quella della civiltà di un Paese e del mercato del lavoro.

Uniti possiamo fare la storia verso i diritti del futuro contro un regime di sfruttamento ottocentesco.

Non per noi ma per tutt*!

A Milano nata una piattaforma che tutela i rider

Giorni fa abbiamo raccontato che A Milano, grazie al contributo di oltre 500 donatori, nasce So.De il primo delivery sociale, solidale e sostenibile. La raccolta fondi sulla piattaforma Produzioni dal Basso, nell’ambito del Crowdfunding Civico del Comune di Milano, ha superato la cifra 25mila euro, alla quale si aggiungono 37.500 euro, una somma donata dall’Amministrazione milanese che corrisponde al 60% dei fondi grazie a cui il progetto potrà partire.

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