la storia

Miro Panizza, il ricordo del figlio Massimiliano

Detiene il record di partecipazioni al Giro, ben 18 e nel 1980 sfiorò addirittura di battere Hinault

Miro Panizza, il ricordo del figlio Massimiliano
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Immersi nell'atmosfera del Giro d'Italia 2023 è impossibile non ricordare uno che di Giri ne ha corsi 18 aggiudicandosi 2 tappe, Miro Panizza.

Miro Panizza, il ricordo del figlio Massimiliano

Il figlio di Miro Panizza racconta la vita sportiva e non del corridore.

Ci racconta un aneddoto?

Nel 1967, da neoprofessionista all’esordio nel Giro d’Italia, nella tappa delle Tre Cime di Lavaredo va in fuga. Dietro, nella nebbia, i campioni ricevono spinte dai tifosi. Mio papà aveva più di un minuto di vantaggio sui vari Motta e Gimondi. Pensava di aver vinto, ma a 250 metri dal traguardo è raggiunto a doppia velocità dagli inseguitori. Torriani annulla la tappa. Mio papà s’arrabbia, vuole lasciare il Giro, medita addirittura di smettere di fare il corridore. Al Processo alla Tappa, Sergio Zavoli gli consegna una medaglia d’oro. Poi ci ripenserà e continuerà a correre.

Si ricorda qualcosa dei suoi allenamenti?

I professionisti della zona si trovavano a Gallarate. C’erano Contini, Moroni, Chinetti e altri. Mio papà si alzava molto presto al mattino e prima di raggiungerli aveva già pedalato per 35 chilometri incontrando gli operai che andavano in fabbrica. Aveva bisogno di carburare, macinare lunghe distanze prima di andare in forma. Per via di quelle uscite all’alba divenne un personaggio molto conosciuto nella zona.

Che tipo era? Si dice abbia sempre avuto un bel caratterino…

Era reattivo, sanguigno, ma amato da molti. Era un grande amico di Adriano De Zan, mentre Torriani, l’organizzatore del Giro, ascoltava lui quando doveva parlare con i corridori. Si costruì la fama di sindacalista del gruppo ed era anche rispettato anche dai corridori belgi che si sentivano superiori a noi italiani. Poi sì, era un tipo deciso, d’azione, sapeva imporsi. Fece passare Mario Lanzafame tra i professionisti e quando cambiava squadra riusciva a portarsi dietro alcuni corridori a cui era legato.

Scontri con i colleghi?

Nel 1975 è il gregario di Roger De Vlaeminck. Partecipa e vince la Milano – Torino. All’arrivo il capitano è furibondo, è sul punto di scaraventargli addosso la bici. Voleva vincere lui. Mio papà non fa una piega, gli si para davanti e dice: “Con tutte le corse che ti ho fatto vincere…” La storia finì lì.

Si è scritto che fosse comunista. È vero?

Mio padre è nato in una famiglia povera: padre comunista, mentre la mamma andava in chiesa, era devotissima. È stato anche molto amico di due sacerdoti, don Mario Galfrascoli, che giocava benissimo a calcio e tifava per il Torino, e don Peppino Catturino, lo storico parroco di Cassano Magnago. E poi ci fu la grande amicizia con Gino Bartali che divenne il mio padrino di battesimo. Con papà si vedevano spesso.

Se corresse oggi che tipo di corridore sarebbe?

Potrebbe assomigliare a Ciccone, oppure fare il gregario al servizio di uno dei fenomeni che corrono oggi. No, Panizza è stato Panizza, un corridore unico. E inimitabile. Credo non si possa paragonare la loro epoca con l’attuale.

Che cosa c’è stato per lui oltre il ciclismo?

Si impegnò con l’associazione G.S. I Bindun, i girovaghi della solidarietà, insieme ad altri sportivi, ai giocatori dell’Inter e a Gianni Bugno.- Diede il suo contributo all’Agorà 97 Onlus, associazione che si occupa di gestire servizi sociali, sanitari ed educativi, orientati ai bisogni di persone in condizioni di marginalità, svantaggio sociale, devianza e rischio di emarginazione. Nel luglio 2003 è stata inaugurata a Rodero, in provincia di Como, la “Casa di Miro”, alla memoria di mio papà. Si tratta di una piccola comunità educativa che ha accolto in regime residenziale numerosi minori, soprattutto preadolescenti. La struttura ha mantenuto questa identità fino al 2011, anno in cui è stata riconvertita a Comunità Alloggio per adulti disabili.

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