Vittime Covid: fissata l’udienza contro Regione, Ministero della salute e presidenza del Consiglio

Più di 500 famiglie hanno intrapreso una causa civile per fare chiarezza sui decessi.

Vittime Covid: fissata l’udienza contro Regione, Ministero della salute e presidenza del Consiglio
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Vittime Covid: fissata l’udienza contro Regione, Ministero della salute e presidenza del Consiglio.

Vittime Covid: fissata l’udienza contro Regione, Ministero della salute e presidenza del Consiglio

da Prima Brescia

Il dolore della perdita, ma anche tanti interrogativi su come è stata gestita l’emergenza nella prima ondata. Regione Lombardia, Ministero della Salute e presidenza del Consiglio dovranno rispondere in Tribunale.

Vittime Covid: fissata l’udienza contro Regione, Ministero della salute e presidenza del Consiglio

E’ stata fissata per il 14 di aprile la prima udienza della causa civile intentata contro Regione Lombardia, Ministero della Salute e presidenza Consiglio dei Ministri a cui hanno aderito 500 familiari delle vittime Covid. Ad oggi nessuna comunicazione da parte del Tribunale Civile di Roma è pervenuta al team dei legali dell’azione civile in merito ad un possibile slittamento della stessa. I massimi vertici dello Stato e il Pirellone hanno tempo per depositare il loro atto di costituzione fino al 25 marzo.

I fatti

Quanto accaduto a marzo dello scorso anno ha colto l’Italia completamente impreparata. Nessuno aveva la minima idea di come gestire l’emergenza Coronavirus e gli ospedali di tutta Italia, ma nella prima ondata soprattutto della Lombardia, si sono trovati completamente al collasso. E’ stato fatto il massimo, turni estenuanti di lavoro e massimo impegno, ma purtroppo le perdite sono state enormi. A qualche mese di distanza, è emersa sempre più forte la voce di quelle famiglie, centinaia, che chiedevano giustizia (o almeno risposte), per la morte dei propri cari. Così è stata intrapresa una causa civile contro Regione, Ministero della Salute e presidenza del Consiglio. Tra coloro che hanno aderito alla causa ci sono numerose famiglie lombarde, soprattutto provenienti dalla provincia di Brescia e Bergamo. Le due, infatti, sono tra le più colpite dalla pandemia.

Il team di avvocati delle famiglie, già qualche settimana fa, aveva scritto al presidente Mario Draghi.

Al Signor Presidente del Consiglio dei Ministri, Prof. Mario Draghi,

quali avvocati di circa 500 familiari di vittime della pandemia, abbiamo deciso di rivolgerci a Lei, a distanza di un anno da quei fatidici 21 e 23 Febbraio 2020 da cui tutto è cominciato, perché nulla fosse più come prima, per sollecitare riflessione ma, soprattutto, per esortarLa ad un dialogo, quello che fino ad oggi, oltre a tutto il resto è mancato. Forse è superfluo sottolineare come si stia parlando di una tragedia per cui i termini “strage” od “eccidio” non sarebbero inappropriati ma non è superfluo ricordare come le proporzioni e le conseguenze sarebbero state certamente diverse e più contenute, se l’Italia avesse avuto un piano pandemico adeguato, in particolare se le istituzioni preposte a garantire questa dotazione avessero ottemperato ai loro obblighi di legge, sia europei che internazionali, attuando ciò che già da anni il Parlamento Europeo, le linee guida dell’OMS, e le statuizione della Regolamentazione Sanitaria Internazionale avevano chiesto di attuare.

Come tragicamente emerso, anche per ammissione degli organi istituzionali messi alle strette su tali responsabilità, tutti questi dettami sono stati bellamente violati dal nostro Paese con buona pace dei cittadini che, per primi, ne hanno subito le relative conseguenze. La Lombardia, regione più colpita dalla “strage”, non è stata in grado di contenere il virus, perché non si era dotata di ciò che sulla stessa incombeva in forza di quanto statuito dall’art. 117 della nostra Costituzione e così non è intervenuta tempestivamente in ambito sanitario omettendo di tutelare la vita e la salute dei suoi cittadini.

Quegli stessi cittadini che il 7 settembre 2020 hanno potuto leggere le dichiarazioni del Coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico, Dott. Miozzo che, in risposta a domanda precisa circa la mancata adozione della Zona Rossa per Alzano e Nembro, ha testualmente ammesso: «Sì, ma capisco Conte. Chiudere quell’area significava fermare un polmone economico del Paese. Forse avremmo salvato qualche vita, ma è facile sentenziare col senno di poi». Da quando siamo stati incaricati di seguire le centinaia di casi, che sono poi stati trasfusi nell’azione giudiziale già intentata avanti al Tribunale di Roma, abbiamo assistito alla negazione di fatti ed atti che a distanza di tempo si sono rivelati tragicamente concreti e reali, in primis la presenza di un piano segreto anticovid.

In quella stessa intervista, il Dott. Miozzo aveva negato ve ne fosse uno, ma grazie ad un ordine del Tar adito da un Onorevole Parlamentare ne siamo venuti in possesso, ed ora abbiamo la prova istituzionale che l’Italia, il 23 febbraio 2020, non fosse affatto pronta.
Era priva addirittura dei reagenti, non aveva predisposto nulla per il tracciamento e la sorveglianza attiva dei contatti e dei contagi, e non aveva nemmeno stoccato dispositivi di protezione individuale per il personale sanitario in base agli scenari di rischio. Nulla, e vogliamo sottolineare nulla, in quel piano “segreto” fa menzione di come comunicare con i cittadini e le comunità locali per predisporli a comportamenti preventivi. Indicazioni che sarebbero servite anche per contrastare campagne scellerate di mass gathering sponsorizzate da alcuni ed evidentemente poco saggi amministratori locali ad un mese dalla dichiarazione dello Stato di Emergenza. Eppure, il Piano Regionale della Prevenzione di Regione Lombardia (2015-2018 prorogato al 2019) e strutturato sulle linee guida del Piano Nazionale della Prevenzione, tutto questo, almeno teoricamente e seppur superficialmente, lo prevedeva. Perchè, d’altro canto, un piano pandemico nazionale adeguato, redatto al tavolo con le Regioni secondo le disposizioni normative italiane, avrebbe dovuto prevedere prima, ed intervenire conseguentemente, ogni azione per l’attivazione di una catena di comando al primo caso di trasmissione interumana di un virus, intervenendo immediatamente su segnalazione tempestiva della regione interessata dal contagio. Invece… Invece, i dati epidemiologici non sono mai stati trasmessi in tempo reale; invece, i verbali del CTS testimoniano che i dati che le regioni avrebbero dovuto inviare al Ministero della Salute non solo non erano aggiornati, ma non venivano nemmeno comunicati in tempi opportuni; invece, ci sono voluti 15 giorni per l’istituzione di una zona rossa in quei comuni della bergamasca che, diversamente, dovevano essere isolati immediatamente; invece, l’esercito è stato inviato solo tardivamente il 4 marzo e poi subito misteriosamente richiamato; invece, l’Ospedale di Alzano Lombardo non è stato chiuso nonostante le richieste “urlate” dal suo direttore per giustificazioni che nulla avevano a che vedere con la tutela della vita e della salute dei cittadini.

A distanza di un anno, grazie all’incessante lavoro di indagine, è emerso che non c’erano scorte di tamponi, di reagenti, di DPI e sempre a distanza di un anno è stato possibile provare, incontrovertibilmente, che non si sapeva nemmeno il numero di posti letto nelle terapie intensive e che non c’erano laboratori in numero adeguato rispetto alla popolazione allo scopo di esercitare il tracciamento e che la medicina territoriale era stata organicamente depauperata con conseguenze disastrose per il contenimento del virus. Tutto questo è stato provato grazie anche al nostro lavoro di ricerca documentale e che ci ha fatti entrare in possesso di documenti ufficiali che non possono essere contestati proprio in quanto tali e rappresentano l’evidenza di una omissione tanto grave (la mancanza di adeguamento di un piano pandemico nazionale come previsto ex lege dalla decisione del Parlamento Europeo dell’ottobre 2013) da poter assumere rilevanza persino al cospetto della Corte di Giustizia Europea per violazione dei diritti dell’uomo.

Ma c’è dell’altro; in tutta questa tragedia, soprattutto umana, i cittadini italiani, i lombardi, i bergamaschi, sono stati lasciati da soli e non solo idealmente. Nessuna istituzione ha mai bussato alla nostra porta (anzi qualcuna si è anche chiusa nei palazzi), nessuna è entrata nelle case dei familiari delle vittime e nessuno ha preso contatti con noi legali rappresentanti dell’azione civile nonostante rappresentiamo centinaia di familiari delle vittime. Addirittura, chi l’ha preceduta non ha mai nemmeno avuto il coraggio di recarsi a Bergamo e Brescia alla luce del sole.

Solo il 28 giugno 2020 tutte le autorità locali e regionali, unitamente al Presidente della Repubblica, hanno partecipato alla commemorazione dei cittadini bergamaschi deceduti presso il Cimitero Monumentale di Bergamo ed organizzata dallo stesso Municipio senza però che almeno una rappresentanza di familiari delle vittime fosse invitata alla cerimonia se non all’ultimo minuto nella forma di un’unica persona e solo su insistenza degli stessi. Abbiamo radicato un procedimento civile, suffragato da prove documentali riversate anche nel procedimento penale avviato d’ufficio dalla Procura della Repubblica di Bergamo, che sta conducendo un’indagine epocale ed unica nella storia, come d’altronde lo è il giudizio avanti il Tribunale di Roma, ma nessuna delle autorità istituzionali di rilievo ha ritenuto opportuno contattarci o esprimere pubblicamente il proprio sostegno o la propria comprensione (anche solo per rispetto nei confronti dei familiari delle vittime).

E’ sulla base di queste imbarazzanti premesse che siamo noi legali a chiedere ufficialmente un incontro con le Istituzioni che rappresentano i cittadini perché a questi cittadini sono dovuti ascolto ed il riconoscimento dei loro diritti lesi. Chiediamo un incontro perché ci aspettiamo che il nuovo Governo si metta a disposizione una legge di indennizzo in favore di tutti i familiari delle vittime, che grazie alla protratta noncuranza e negligenza di burocrazia e politica sono stati resi orfani o vedovi e vedove e che, in molte circostanze, anche madri che si ritrovano a dover crescere dei figli senza l’unica fonte di reddito che sosteneva il loro impegno.

La lettera è stata firmata dal team legale dei familiari delle vittime Covid-19 ed è stata firmata dagli avvocati Consuelo Locati, Alessandro Pedone, Giovanni Benedetto, Piero Pasini, Luca Berni.

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