in piazza mercanti

Shein apre nel centro di Milano un negozio "a tempo" per tre giorni ma arriva l'indagine di Greenpeace

La contestata piattaforma cinese ha aperto un negozio a Milano per pochissimi giorni ma a rompere le uova nel paniere arriva l'indagine di Greenpeace.

Shein apre nel centro di Milano un negozio "a tempo" per tre giorni ma arriva l'indagine di Greenpeace
Pubblicato:
Aggiornato:

Nel centro di Milano ha aperto ieri, lunedì 19 novembre, un nuovo pop up store di Shein, l'azienda di ecommerce cinese fondata nel 2008, che quest'anno ha raggiunto la valutazione di 100 miliardi di dollari.

Shein apre un negozio per soli tre giorni

MILANO - Il punto vendita sarà aperto al pubblico solo per tre giorni fino a giovedì 22 dicembre. Il negozio è stato allestito in piazza Mercanti, all'interno di palazzo Giureconsulti, a pochi passi da piazza del Duomo ma in città non è la prima volta che Shein alza le saracinesche: dal 28 al 30 giugno 2022, infatti, il marchio aveva già aperto un pop up store in piazza Gae Aulenti.

Un nuovo pop-up space dal mood natalizio

Il marchio torna quindi nuovamente a Milano presentando un nuovo pop-up space dal mood natalizio in pieno centro città e sarà "un punto di aggregazione temporaneo dove i fan del brand potranno immergersi nell’atmosfera natalizia ed avranno finalmente l’occasione di provare e acquistare, in maniera fisica, i migliori capi di abbigliamento e prodotti beauty del brand leader nel settore prêt-à-porter femminile, in una location d’eccezione", come comunica l'azienda in una nota.

Popolarissima tra le giovani generazioni

La piattaforma cinese del fast fashion, per i suoi prezzi molto contenuti e per la sua capacità di individuare le nuove tendenze, spopola soprattutto tra i più giovani, non ha punti vendita fisici, ma vende capi di abbigliamento, accessori e calzature low cost esclusivamente online in 220 paesi in tutto il mondo, a eccezione del permanent store di Tokyo e dei pop up store che per pochi giorni vengono aperti al pubblico nelle maggiori città.

L'indagine di Greenpeace sul noto marchio

Fin qui tutto bello ma Shein è anche stata al centro di un'inchiesta di Greenpeace del 23 novembre scorso  che sostiene come l'azienda non sia sostenibile né a livello sociale né tantomeno ambientale. Nell'indagine è emerso che il 15% del totale di 47 capi prodotti dell'azienda acquistati in quattro paesi europei, ovvero Austria, Germania, Italia, Spagna e Svizzera, conteneva “quantità di sostanze chimiche pericolose ai livelli consentiti dalle leggi europee”. In un terzo dei prodotti invece, la quantità delle sostanze dannose raggiungeva “livelli preoccupanti”. Le sostanze chimiche presenti il nichel, ftalati, formaldeide, quest'ultima è classificata come un possibile cancerogeno per l’uomo.

I diritti dei lavoratori questi sconosciuti

Per non parlare di chi ci lavora per Shein, sempre Greenpeace sostiene che a pagare il prezzo di questi abiti siano proprio i dipendenti che lavorano 18 ore al giorno per quattro dollari a capo e non dimentichiamo anche i danni all'ambiente.

Perché la fast fashion è insostenibile

In base alle stime di Greenpeace, l’industria della moda è responsabile di circa il 10 per cento delle emissioni globali di gas serra e rappresenta una delle principali cause di inquinamento delle acque in tutto il mondo. Oltre l’80 per cento degli impatti ambientali si verificano nei paesi del sud del mondo, dove viene prodotta la stragrande maggioranza dei vestiti che finiscono sul mercato globale.

"Se troviamo quantitativi elevati di residui chimici in un abito, un accessorio o un paio di scarpe, vuol dire che è stato fatto un massiccio uso di sostanze durante la produzione. Queste sostanze vengono sversate nell’ambiente attraverso gli scarichi e quindi vanno a impattare sulle comunità che vivono in prossimità degli insediamenti produttivi; alcune si degradano con estrema difficoltà e a volte vanno a finire addirittura nel cibo”, chiarisce Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia.

Seguici sui nostri canali