Giardini Pubblici Indro Montanelli

A tu per tu con Settimio Benedusi, sovversivo maestro della fotografia

Il fotografo ha allestito il suo studio mobile nell'ambito della mostra mercato Orticola, in scena fino a domani, domenica 19 settembre 2021.

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Abbiamo incontrato il fotografo Settimio Benedusi, un'istituzione nell'ambito delle immagini, vero e proprio "mattatore", grande amico di Oliviero Toscani, con cui condivide alcune delle più rivoluzionarie tesi su un mondo, quello della fotografia che oggi ricopre un ruolo di assoluta rilevanza nella vita delle persone.

A tu per tu con Settimio Benedusi, sovversivo maestro della fotografia

Messa in scena e verità. Mondi irreali trasformati in sogno e finzione spacciata per realtà. Contrapposizioni. Sono questi gli elementi di cui non si può fare a meno di parlare se si entra in contatto con un fotografo come Settimio Benedusi, un'istituzione nel mondo della fotografia, influente non solo nell'ambito pratico della sua professione ma anche nell'orientare i discorsi sul linguaggio che oggi, grazie al web e alla tecnologia, è forse quello più diffuso in tutto il pianeta: l'immagine.

Lui, professionista nato a Imperia con alle spalle una lunga carriera sempre al top, in questi giorni attivissimo a Milano (città in cui ha lavorato per molti anni) nell'ambito della kermesse Orticola nei giardini Indro Montanelli, a un certo punto del suo percorso lavorativo ha deciso di orientare il proprio obiettivo verso le persone comuni. Non più modelle e modelli in posa per i più importanti marchi di moda. No. Solo persone.

La rivoluzione dell'immagine

E dire "solo", ovviamente, è una provocazione. Vederlo lavorare è senza dubbio un'esperienza per chi ama le immagini: tutta quella competenza "umana" accumulata in anni di shooting (anche in quei paradisi terrestri che i mortali possono solo sognare) è decisamente presente ed evidente. Con lui, insomma, l'accento non si pone più sul mezzo utilizzato, sulle componenti tecniche, ma solo sul fine: ritrarre l'anima vibrante di un uomo, di una donna, di due amanti, e pure dell'amatissimo cagnolino di famiglia.

 

E tutto quanto raccontiamo è assolutamente "rivoluzionario". E' lui stesso a confermarlo, venerdì pomeriggio, proprio mentre un manipolo di amanti della fotografia si avvicina al suo tendone (in tutto e per tutto simile a quelli usati al circo) per ascoltare il suo corso su "come realizzare fotografie brutte".

La fotografia come linguaggio

Che non è un workshop su come sbagliare a scattare, ovviamente, ma è una provocazione culturale per spingere il proprio occhio al di là del superficiale e arrivare a risultati che abbiano un valore anche umano. Come si dovrebbe fare con tutti i linguaggi. In sostanza, il discorso di Benedusi è questo: "La fotografia è un linguaggio e la macchina fotografica andrebbe utilizzata solo quando c'è qualcosa da dire, da raccontare".

 

Come non dargli ragione? Soprattutto oggi, in un mondo che è letteralmente invaso da immagini, da fotografie, da video, tiktok, reel, filmati, prodotti di ogni tipo che bombardano gli occhi con una frequenza mai vista.

Le foto non devono essere belle

Questo approccio di Benedusi aiuta a far riflettere sul modo in cui, con la dovuta capacità di analisi, si potrebbe riuscire a non soccombere di fronte a questi quotidiani tsunami. E forse, si realizzerebbe anche il superamento di certi valori, diciamo noi, un po' superati. Quelli del bello assoluto, del bello a tutti i costi, della tendenza, che tanto ha di commerciale e pochissimo (quasi nulla) ha invece di umano. Perché qui, è l'autore Benedusi a ricordarcelo, è arrivato il momento di operare una vera e propria "resistenza": è il turno della normalità al potere, della cultura, della consapevolezza.

Le foto non devono essere belle, ma utili. E il lavoro del fotografo deve tornare come quello di 200 anni fa, quando il professionista era un artigiano, con la sua bottega, capace di donare ai clienti un prodotto di valore. Anche emotivo. Con il suo progetto "Ricordi? Ritratti fotografici stampati", il ricordo, citando Nelson Mandela, diventa proprio il "tessuto dell'identità".

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Testo e foto a cura di Alessandro Di Mise

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