Indagine Pd sull'aborto in Lombardia: “Obiezione ancora alta e Ru486 poco utilizzata. Consultori ignorati”
Sebbene la media regionale dell’obiezione si avvicini al 50%, ci sono ancora un quarto degli ospedali con l’obiezione al 70%

Uno studio che fa ogni anno il gruppo consiliare del Pd sull’applicazione della 194 in Lombardia, raccogliendo i dati da tutte le strutture delle Asst lombarde.
Aborto in Lombardia, il Pd : “Obiezione ancora alta e Ru486 poco utilizzata. Consultori ignorati”
MILANO - In Lombardia l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) resta tutt’altro che uniforme. A evidenziarlo è l’ultima indagine del Gruppo regionale del Partito Democratico, che da oltre dieci anni monitora l’applicazione della legge 194, con un lavoro di raccolta dati coordinato negli ultimi sette anni dalla consigliera Paola Bocci.
L'indagine del Pd sull’applicazione della legge 194
Sebbene il numero complessivo delle Ivg nella regione resti stabile, il quadro tracciato dal Pd mette in luce criticità strutturali e disparità territoriali. La media regionale dell’obiezione di coscienza tra i medici si aggira attorno al 50%, ma in un quarto degli ospedali supera ancora il 70%, rendendo l’accesso all’aborto un percorso a ostacoli.
Anche l’utilizzo della Ru486, la pillola abortiva per l’interruzione farmacologica, risulta significativamente inferiore rispetto ad altre regioni più virtuose.
Majorino: "una realtà tenuta nascosta da chi governa la regione"
“È surreale che questi numeri, la loro rielaborazione, il quadro che si riesce così a tratteggiare debba farlo un gruppo di minoranza. A noi può far gioco, politicamente, ma è una sorta di attività non governativa, e questo perché la destra lombarda è oscurantista e continua ad avere paura della 194. Quindi, una realtà che dovrebbe essere fruibile, pubblica, viene tenuta nascosta da chi governa la regione. E con la sua gestione politica ne condiziona l’applicazione. Come altrettanto silenziata è l’educazione alla sessualità che, invece, noi crediamo si debba portare avanti per le ragazze e i ragazzi che vivono in Lombardia e non solo”, ha dichiarato Pierfrancesco Majorino, capogruppo regionale del Pd.
L’assenza di trasparenza e aggiornamento dei dati
Il nodo principale resta l’assenza di trasparenza e aggiornamento dei dati, che oggi sono disponibili solo a livello nazionale, disaggregati per regione e risalenti al 2022.
“La nostra indagine diventa ancora più importante nel momento in cui abbiamo open data nazionali datati, risalenti al 2022, e disaggregati solo per regioni. Il lavoro che facciamo dovrebbe essere in carico alla Regione con un Osservatorio regionale che renda pubblici i dati dell’anno precedente, in breve tempo. Solo così da una parte le donne avrebbero informazioni trasparenti e dall’altra si potrebbe intervenire per introdurre correttivi, garantendo ovunque l’accesso al servizio”, sottolinea Bocci.
La Regione ignora i consultori
Grazie alla raccolta di dati puntuali su province e strutture sanitarie, l’indagine evidenzia anche la mancanza di una linea guida regionale che garantisca l’accesso all’aborto sia chirurgico sia farmacologico. Su questo fronte, la consigliera Pd rilancia:
“Serve una direttiva regionale che imponga ai presidi che siano erogate Ivg con entrambi i metodi, affinché le donne possano davvero scegliere. Contemporaneamente, serve che sia riconosciuta in questo processo centralità ai consultori pubblici che devono essere in maggior numero e potenziati, non limitati alla produzione di certificazioni, per poter erogare anche loro la farmacologica, come già da anni avviene in Emilia-Romagna e dove, dal 2025, la Giunta regionale ha deliberato un protocollo”.
Sugli accessi alle Ivg delle donne con cittadinanza non italiana
Un’altra novità emersa dall’indagine riguarda il ricorso all’aborto da parte delle donne senza cittadinanza italiana. Pur essendo numericamente inferiori alle italiane in termini assoluti, hanno una percentuale di Ivg più alta rispetto alla popolazione femminile di riferimento.
“Le donne con cittadinanza non italiana, che ricorrono all’interruzione volontaria di gravidanza meno delle italiane, in numeri assoluti, hanno un’incidenza di Ivg molto alta se rapportiamo questi numeri alla loro popolazione di riferimento. E questo ci fa pensare che siano anche molto sole: è necessario che vengano informate, accompagnate, supportate con un occhio anche alla provenienza, alla lingua, alla comprensione dell’italiano, alla cultura familiare.
In questo i consultori possono essere un punto di riferimento. Servono informazioni in diverse lingue nei luoghi dove possono essere intercettate e progetti ad hoc per loro su prevenzione e contraccezione, in collaborazione tra consultori e associazioni. Ma una campagna informativa è necessaria anche per le più giovani, per cui riteniamo fondamentale investire sull’educazione sessuale nelle scuole”, conclude Bocci.